Notizie sulla violenta tempesta in arrivo avevano invaso la radio tutto il giorno. Tuttavia, non certo grazie alla mia voglia di lavorare senza interruzioni, ne ero completamente ignara fino a che le finestre del mio ufficio non hanno cominciato a tremare, con grosse gocce di pioggia che colpivano il vetro. Distratta dai rumori sempre più forti, che mi stavano causando un gran mal di testa, tolsi lo sguardo dal report che stavo scrivendo per capire cosa stava accadendo.
Mi avvicinai alla finestra, immensamente infastidita dalla città completamente offuscata dalla pioggia. Mi sono trasferita in una città più al sud proprio per evitare simili complicazioni, eppure eccomi qui: bloccata in ufficio durante la tempesta del secolo. Mi ci sarebbero volute ore per tornare a casa, lo sapevo per certo. L’ultima volta che c’è stata una tempesta violenta come questa, le strade erano completamente intasate dal traffico. Questa volta la tempesta era peggiore.
“E ora?” mi chiesi, non aspettandomi una risposta dall’ufficio vuoto.
“Potremmo tentare la sorte, o rimanere qui ed aspettare che la pioggia smetta”.
Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata al suono di quella voce profonda, che conoscevo fin troppo bene.
Marco.
“Lavori fino a tardi?” chiesi, nonostante la cosa fosse piuttosto ovvia.
“Solo tu ed io”, mi rispose.
Non ne fui sorpresa. Capitava spesso che io e Marco ci incontrassimo in ascensore in tarda serata, quando gli uffici erano già vuoti. Marco ed io eravamo stati assunti nello stesso periodo, entrambi in competizione per gli stessi incarichi, per gli stessi riconoscimenti da parte dei soci. Chi ha mai detto che la concorrenza non è feroce in uno studio contabile non ha mai lavorato alla Tramontano ed Associati.
Mi chiesi quali possibilità avrei avuto se fossi uscita adesso. Ma vedevo le auto giù in strada, che si accalcavano come se fosse una calda giornata estiva fuori dalle spiagge di Riccione. Non c'era modo di arrivare alla mia casa di periferia prima dell'alba di domani.
“Non credo tu abbia un motoscafo, vero?”
Marco sorrise, e le sue labbra carnose mi fecero perdere un battito. Aveva questo adorabile sorriso capace di farmi perdere totalmente la concentrazione. Per questo cercavo di non fissarlo durante le riunioni. O fuori dalle riunioni.
“Potremmo chiamare qualcuno, ma ho l’impressione che per come stanno le cose non sia fattibile.”
Mi morsi le labbra mentre pensavo a come uscire da qui. Marco, d’altro canto, sembrava si stesse mettendo a suo agio. Era entrato nell’ufficio e si era sdraiato sulla poltroncina posta all’angolo. Sembrava un modello in posa per un servizio di GQ, per il modo con cui si era rilassato anche con addosso un abito ben confezionato.
Marco ha sempre avuto un non so che di affascinante. Era bellissimo - era l’unica parola appropriata per descrivere un tale Adone - con gli occhi color nocciola e la pelle scura come cioccolato. Aveva le braccia muscolose, ben visibili sotto il tessuto del suo completo costoso. Aveva il petto ampio, la vita stretta, e fianchi avvolti ben stretti nei pantaloni; ti facevano chiedere cosa nascondesse lì sotto. Ma non era solo il suo aspetto che faceva bagnare ogni ragazza che incontrava. Era il modo in cui era capace di fissarti in una stanza affollata e farti credere di essere sola con lui. Il modo in cui poteva incantarti con un solo sorriso e poche parole ben scelte.
Ma sono stata anche dall'altra parte di quel fascino, quando mi ha lasciata nei casini poche settimane dopo che entrambi eravamo venuti a lavorare qui, facendo capire ai soci che pensava che avessi sbagliato un progetto quando, in realtà, era stato lui a sbagliare.
Era il diavolo in persona, con un corpo estremamente sensuale.
In qualche modo, mi ritrovai con gli occhi incollati su di lui. E lui mi fissava mentre camminavo avanti e indietro davanti alla finestra, lo sguardo intenso sulla mia camicetta sgualcita e la mia gonna corta. Inconsciamente mi passai le mani sui fianchi, cercando di stirare i tessuti dei miei vestiti. Cercai di non dargli la soddisfazione di sapere che il suo sguardo mi faceva immaginare qualcosa di più dei suoi occhi che vagavano sul mio corpo.
“Ti conviene sederti e rilassarti, Katia”, mi disse indicando lo spazio vuoto del divanetto, proprio in mezzo alle sue gambe. “Sarà una lunga notte.”
“No, grazie”, gli risposi.
Scrollò le spalle, come a dire: a ciascuno il suo.
Mi misi dietro la scrivania e provai a chiamare, ma non c’era segnale.
“Le linee sono saltate più di un’ora fa.”
“Accidenti, grazie,” risposi.
Si scrollò di nuovo. “Anche i cellulari sono andati più di un’ora fa.”
“Quindi siamo completamente isolati?”
“Temo di si.”
Mi morsi di nuovo le labbra. Doveva esserci un modo per andare via…
“Dovresti smetterla di farlo.”
Lo guardai. “Scusami?”
“Smettila di morderti le labbra,” mi disse Marco, sporgendosi in avanti sulla poltrona.
“Perché?”
Il suo sorriso mi faceva attorcigliare lo stomaco, facendomi desiderare di sedermi e stringere le gambe. Non ero una stupida completamente inesperta; sapevo cosa stava pensando. Ma il fatto che stesse pensando a me rendeva l'improvvisa umidità delle mie mutandine ancora più voluminosa.
“Abbiamo una lunga notte davanti a noi…” cominciai a dire, anche se non sapevo dove volevo andare a parare. Qualsiasi pensiero coerente volò fuori dalla mia testa non appena vidi che si stava avvicinando a me.
“Perché cambi sempre strada ogni volta che mi vedi arrivare?”
“Non lo faccio,” dissi, nonostante fosse vero.
“C’è qualcosa di me che non ti piace?”
“Non si tratta di questo.”
“E allora perché?"
Stava di fronte a me, la scrivania l’unica cose che ci separava. Mi morsi le labbra, ma smisi appena mi ricordai cosa mi aveva detto prima.
“Non so a cosa ti riferisci.”
“Si che lo sai, Katia.” Camminò intorno alla scrivania, facendomi arretrare lentamente.
Era talmente alto che, appena mi ritrovai intrappolata tra lui e il muro, dovetti alzare completamente la testa per poterlo guardare negli occhi. Mi accarezzò dolcemente la mascella.
“Ricordi quella sera al bar dopo che iniziammo a lavorare qui?” mi chiese, facendo scivolare il pollice sul mio mento. “Ricordi come ballammo? Il modo in cui strusciasti i fianchi su di me, mentre la mia mano scendeva giù per la tua schiena?”
Se lo ricordavo? Era un ricordo che spesso mi lasciava vogliosa in piena notte. Anche adesso, quel ricordo mi faceva bruciare la pelle con un fuoco che ero sicura potesse essere spento solo dal suo tocco. Ma non cambiava nulla.
“Ricordo come il giorno dopo mi hai fregato con i partner.”
“Quelli erano soltanto affari,” disse gesticolando. “Non potevo perdere il lavoro e tu eri fin troppo brava perché qualcuno ti licenziasse.”
“Forse. Ma è stato comunque un brutto gesto.”
“Perciò fammi perdonare.”
Fece scendere le dita sui bottoni della mia camicetta e mi avvicinò a se. Le sue dita premevano sulle mie tette, facendomi tremare di piacere. Feci un passo indietro, ma il movimento non fece altro che aprire due bottoni della mia camicia. Improvvisamente parte delle mie tette erano in vista. Non si perse un solo secondo dello spettacolo.
“Stupenda” sospirò, accarezzandomi dolcemente la pelle sopra il merletto del reggiseno.
“Non farlo,” sussurrai.
Mi guardò negli occhi e, per un momento, pensai di vedere del dolore. Mi si strinse il cuore, e mi fece venir voglia di toccarlo e dirgli quanto desideravo che mi toccasse. E lo feci… volevo sentire le sue mani su tutto il mio corpo, volevo sentire quelle lunghe, bellissime dita in profondità nella mia fica. Volevo vedere il suo petto nudo, le sue cosce muscolose, e il suo tanto chiacchierato cazzo.
Ma era questo il problema, giusto?
Non era il tipo di uomo con il quale avevo immaginato di passare le mie notti.
La tensione invase il corpo di Marco. La sentivo nel leggero movimento del suo dito contro il mio seno, la vedevo nel raddrizzamento della sua spina dorsale. Ma non si allontanò. Al contrario, si avvicinò, intrappolandomi completamente contro il muro.
“Non c’è nessun altro qui,” disse pacatamente. “Non c’è nessuno che possa fermarmi dal fare quello che voglio.”
Mise la mano sui miei fianchi e mi trascinò in avanti, premendomi con forza sul suo corpo. Misi la mano sul suo petto, più per reggermi che per altro. Ma il calore del suo corpo mi invase, facendomi tremare intensamente il clitoride - cosa che era in atto dal momento in cui aveva messo piede nel mio ufficio.
“Marco…”
Mi mise a tacere baciandomi intensamente. Mi aprii a lui, più per autoconservazione che per altro. La sua lingua invase la mia bocca, spingendosi in profondità, alla ricerca di tutti i segreti per ottenere ciò che voleva. Le sue mani si spostarono dai miei fianchi al mio culo, tirandomi così tanto contro di lui che non c'era più alcun dubbio se fosse o meno eccitato dalla mia vicinanza.
Un suono simile ad un ringhio mi pervase non appena lasciò la mia bocca, spostandosi sul mio mento. Mi morse la gola, lasciandomi un enorme succhiotto, ed un piacevole dolore mi oltrepassò il corpo. Sentivo il calore del suo alito caldo sul collo, sotto il colletto della camicetta. Premetti la mano contro il suo petto per allontanarlo, ma persi subito la motivazione.
Mi tirò la camicetta da fuori la gonna. Appena ebbe il via libera, mise subito le mani dietro la mia schiena, cercando con le dita il gancio del mio reggiseno. Ringhiò mentre tirava, cercando invano di aprirmi il reggiseno.
“Toccami,” mi sussurrò all’orecchio, con un tono simile ad una supplica. “Voglio le tue mani su di me.”
Mentre una mano premeva ancora sul suo petto, l’altra restava ferma sul mio fianco. Sembrava che i miei muscoli si fossero sciolti. Non ero sicura di riuscire a muovermi. La sua lingua passava sul mio orecchio, le sue mani sulla mia nuda pelle dietro la schiena, il suo cazzo, così duro, premeva sul mio addome. Era surreale. Era qualcosa sulla quale avevo fantasticato tantissime volte, e stavolta era reale.
Lo volevo.
Feci scendere la mia mano sui suoi fianchi, nell'incavo all'angolo del suo sedere, sui muscoli tesi che si flettevano sotto la mia mano. Sotto la sua giacca, sul calore della giornata che si era accumulato sul retro della sua camicia. Sentivo il suo corpo rabbrividire, sentivo la sua voglia nel respiro affannoso.
Non riuscivo a fermarmi. Il mio autocontrollo cedette non appena passò la lingua dal mio orecchio alla mia spalla, nel momento stesso in cui riuscì a slacciarmi il reggiseno, per poi mettere le mani sulle mie tette. La sensazione del mio capezzolo sul suo enorme palmo mi fece impazzire. Le mie ginocchia erano deboli, le mie mani tremavano. Misi la mano dietro la sua testa, esortandolo a riportare le sue labbra sulle mie.
Stavolta fu più gentile, aprendomi dolcemente la bocca con la lingua. Mi aprii di nuovo, ma questa volta perché volevo disperatamente sentirlo dentro di me. Ed ottenni esattamente quello che volevo. Potevo sentire il sapore carnoso della sua lingua, le spinte delicate, la morbida carezza di lui contro i tessuti più sensibili della mia bocca.
Piegò le ginocchia e mise le mani sotto il mio culo. Mi sollevò contro il muro, premendo con forza il suo corpo; sentii il suo cazzo duro contro il mio clitoride ed urlai di piacere. Poi si girò e buttò carte e penne giù dalla mia scrivania, facendomi sdraiare lì sopra.
L’assenza del suo corpo sul mio mi colpì come un’ondata gelida. Gli afferrai la mano non appena si allontanò, pensando per un attimo che mi avrebbe abbandonata qui completamente arrapata. Invece si mise tra le mie gambe e mi tolse gonna e mutandine, quasi strappandoli dal mio corpo. Poi si inginocchiò e passò la sua lingua sul mio clitoride. Mi spinsi all’indietro sulla scrivania, gemendo di piacere alla magnifica scarica di elettricità che mi attraversò il corpo.
“Hmm, guarda come sei pronta,” sussurrò contro la mia coscia. “Sei bagnatissima.”
Mi sollevai e lo vidi mentre premeva di nuovo il viso sulla mia fica, immergendo la sua lingua dentro di me. “Oh mio Dio”, gemetti mentre misi la mano dietro la sua testa, spingendolo più vicino. Prese la mia mano e la strinse forte, mentre continuava a leccarmi la fica bagnata.
Mi sdraiai di nuovo stringendo forte la sua mano, le mie gambe avvolte sulle sue spalle. Ci andava piano, facendomi soffrire di piacere mentre mi assaporava e succhiava gentilmente il clitoride, strofinandolo contro uno dei suoi denti. Nonostante godessi come non mai, volevo toccarlo. Volevo sentire la sua pelle contro la mia. Volevo assaporare le sue labbra, e assaggiare i miei liquidi sulla sua lingua.
“Vieni qui”, gli dissi, tirandolo per la mano.
Si alzò subito piegandosi sopra di me. Prese la mia camicetta e tirò con forza; il suono dei bottoni che cadevano sembrava simile a quello della pioggia battente fuori l’ufficio. Premette entrambe le mani sul mio ventre nudo, spostando i palmi fin sotto il reggiseno slacciato. Misi le mani sopra le sue e spinsi, facendogli premere con più forza le mani sulle mie tette e sui miei capezzoli turgidi.
Allacciai le gambe sui suoi fianchi, strofinando il clitoride sul pacco. Potevo sentire il suo cazzo duro e pulsante, mentre mi muovevo. Mi guardò, posando lo sguardo sul mio viso, la mia gola, la pletora di lentiggini sul mio petto. Le sue mani salirono sul mio collo mentre si avvicinava, la tonalità scura della sua pelle creava un delizioso contrasto con il mio tono pallido. Mi sollevai e lo baciai di nuovo, premendo il suo corpo contro il mio fino a che non c’erano più dubbi che lo desideravo da morire.
Una oscura nube di piacere gli passò sul viso. Prese i miei fianchi e mi sollevò dalla scrivania, girandomi fino a farmi piegare con il petto contro la superficie. Sentii il suono della sua cinta mentre tentava di aprirla con una mano sola. Sapevo cosa stava per accadere, potevo sentirlo nella fretta dei suoi movimenti. Non provai ad alzarmi, né a girarmi. Aspettai l’ondata di piacere che stava per arrivare. Ed arrivò, quasi violentemente.
Spinse i miei piedi lontano, premendo la sua mano dietro la mia testa per tenermi ferma. E poi spinse dentro di me, infilando tutto il cazzo dritto dentro la mia fica. Urlai di piacere mentre spingevo i miei fianchi contro di lui, cercando di andare incontro alle sue spinte.
“Oh, Cristo!” urlò.
Rimase fermo per un momento, stringendomi il collo ed i fianchi. Il momento fu sufficiente affinché il mio corpo si adattasse al suo enorme cazzo. Un lungo momento mentre cercava di contenersi. E poi iniziò a muoversi. Non c’era niente di gentile nelle sue spinte, niente di minimamente paziente o gentile. Era animalesco. Spingeva in maniera violenta e veloce dentro di me, sbattendo le mie gambe contro la scrivania con ogni movimento. Mi aggrappai alla scrivania mentre cercavo di rilassare i muscoli della fica, cercando di prenderlo dentro quanto più possibile.
Mi toccò posti dentro che nessuno aveva mai raggiunto. Aveva un cazzo enorme, e mi riempiva completamente la fica fin quasi a strapparla. Ma il modo in cui si muoveva, la forma unica del suo cazzo che permetteva alla sua capocchia di spingere contro il sottile tessuto di pelle tra la fica e l’ano, erano qualcosa che mai avevo provato fin’ora. Mossi il culo tentando di prenderlo tutto dentro ad ogni nuova spinta.
“Fermati”, grugnì, lasciandomi il collo e tenendomi i fianchi con entrambe le mani. “Mi stai facendo impazzire!”
La sola forza di quel pensiero mi spinse oltre il limite. Potevo sentirlo nelle dita dei piedi, un curioso tremolio che mi faceva venir voglia di stenderle quanto più lontano possibile. Lo sentivo nelle gambe, rendendo le mie ginocchia molli. E lo sentivo passare attraverso la mia pancia, su per la schiena e dritto dietro la nuca. Infine si posò nella profondità della mia fica, mandando una serie di vibrazioni che mi fecero urlare di piacere.
Spinsi il culo quanto più indietro possibile. Lo sentivo fremere; lo sentii quasi raggiungere il suo orgasmo dall’improvviso martellare del suo corpo contro il mio, nel suo premere con forza i fianchi contro i miei. Si lasciò uscire un gemito forte e profondo, che riempì tutta la stanza.
La forza lasciò completamente il suo corpo nel momento stesso in cui sborrò dentro di me. Si accasciò sul mio corpo, schiacciandomi contro la scrivania. Nonostante la strana posizione, il suo peso contro il mio corpo mi rassicurava. Potevo sentire il suo cuore battere all’impazzata, ed i suoi respiri affannati. Ci volle qualche minuto prima che l’eccitazione nel suo corpo si calmasse. Appena si riprese, si sollevò e mi girò così da farmi sedere sulla scrivania di fronte a lui.
Mi accarezzò il viso e mi guardò dritto negli occhi. “Perché lo hai fatto?” mi chiese dolcemente. “Perché hai lasciato che…”
Gli baciai il labbro inferiore mentre le mie mani gli afferrarono di nuovo il cazzo. “Perché lo volevo.”
“Per tutto questo tempo mi hai sempre evitato. Pensavo che…”
“Non volevo essere un’altra tacca sulla tua cintura,” risposi mentre gli strofinavo il cazzo. “Ma ciò non significa che non ci abbia mai pensato.”
“Hai fantasticato su di me?”
“Costantemente.”
Marco grugnì mentre passava le dita tra i miei capelli, baciandomi dolcemente. L’urgenza era svanita. Tutto quello che rimaneva era il desiderio.
Mi prese in braccio e mi portò sulla poltroncina. Mi tolsi i resti della camicetta e del reggiseno, lasciandoli sul pavimento. Mi sistemai sulle sue gambe e cominciammo a baciarci, facendo passare il suo cazzo quasi duro sulla mia fica distrutta. Passò le mani sulla mia schiena, tenendomi vicina senza restringere i miei movimenti.
Gli passò improvvisamente un pensiero nella mente. Interruppe il bacio e mi guardò negli occhi. “Che significa ‘un’altra tacca sulla tua cintura’?”
Passai il pollice sulle sue labbra. “Per via di tutte le donne con cui hai fatto sesso. Chiunque ne parla…”
“E tu credi a queste stronzate?”
Alzai le sopracciglia. “Non dovrei?”
Rise mentre mi accarezzava la schiena. “Katia, non sono stato con una donna da quando la mia ex mi ha lasciato due anni fa.”
Inclinai leggermente la testa, cercando di decidere se credergli o meno. “E allora tutti quei pettegolezzi?”
“Sono solo pettegolezzi.” Mosse dolcemente le mani sui miei fianchi, sollevandomi e facendo strusciare la sua capocchia contro la mia fica. “Sei l’unica che voglio,” mi disse mentre me lo infilò di nuovo dentro.
Gemetti, un suono lungo e lento che sembrava avvolgerci e stringere i nostri corpi. Non so cosa abbia ispirato di più il gemito: le sue parole o la sensazione del suo cazzo duro dentro di me. In ogni caso, non aveva molta importanza. Sapevo solo che lo volevo, lo volevo più di qualsiasi altra cosa avessi mai desiderato prima.
Sarò sempre grata per questa terribile tempesta.
Fonte originale inglese: The Ice Storm on literotica.com



